Durante una permanenza di due mesi nella città dell’Avana, l’artista, Giulia Dari, ha realizzato questa serie fotografica, interrotta dall’avvento del coronavirus. Dari all’Avana viveva in calle san Rafael fra (entre, in Spagnolo) calle Mazón e calle Basarrate. Da qui il titolo del progetto. L’ispirazione per questa serie proviene tanto da un disagio, sia fisico sia sociale, come dalla voglia di integrarsi e appartenere a un contesto nuovo e profondamente diverso dal suo.
Sull’isola l’artista percepiva gli sguardi dei cubani come indiscreti: si sentiva osservata, diversa perché straniera e non integrata a quella società. Nonostante i suoi tratti somatici siano assimilabili a quelli dei cubani discendenti europei, non poteva nascondere la sua identità di elemento subalterno. Per questo è nato il suo progetto: per esplorare e questionare le differenze sociali fra stranieri e cubani.
Nel suo quartiere dopo aver familiarizzato con le persone della sua routine quotidiana ha intrapreso un viaggio artistico-fotografico realizzando una serie di ritratti site-specific performativi. I luoghi sono quelli che frequentava tutti i giorni e le appartenevano. Alle persone si affiancava imitandone abbigliamento, posa e stati d’animo. L’artista, mimetizzandosi fra i suoi conoscenti, diventa a tutti gli effetti una di loro, ma immagine dopo immagine la sua presenza inizia a costituire la ragion d’essere dello scatto.
Così scatti che appaiono inizialmente comuni e spontanei rivelano a poco a poco una composizione fittizia. Il convergere di mimetismo e parodia in questa serie serve da strumento per esplorare l’identità dei soggetti ritratti all’interno del loro contesto sociale e urbano. Qui la fotografa gioca un ruolo duale: la sua presenza rende la scena veritiera e allo stesso tempo ne rivela il montaggio. La sua idea è, da una parte, riflettere sugli elementi culturali, sociali, etici e biologici che definiscono un individuo rispetto a un determinato contesto. Dall’altra, vuole impiegare la fotografia come occasione per affrontare temi intimi e personali: un luogo di socializzazione e rivelazione ma anche di disuguaglianza e contraddizione.
Per Dari, la fotografia non ha un solo autore e ne ha almeno uno invisibile, quello principale: il fotografo. L’autrice integrandosi nella scena se ne appropria e allo stesso tempo trasforma l’opera in un incontro fra diversi interlocutori che nella realtà non dura però più del tempo di una fotografia.